A.C. 750-A
Grazie, Presidente. Ci troviamo, oggi, a parlare in quest'Aula di un decreto il cui titolo è molto significativo, molto importante, se letto da solo: Disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori. Ecco, leggendo solo il titolo – oggi, qui, abbiamo avuto in Aula le scuole, i ragazzi, ci lamentiamo spesso che la politica è poco compresa fuori dalle Aule della politica -, magari, potremmo immaginare che le misure urgenti per la gestione dei flussi migratori debbano essere quelle utili a liberare le persone arrestate, torturate, imprigionate, in tanti luoghi del mondo, ma anche alle porte del nostro Paese, per esempio, in quelli che sono stati definiti i lager della Libia; delle misure urgenti per la gestione dei flussi migratori potrebbero essere quelle di dare finalmente la cittadinanza a migliaia e migliaia di bambini, figli di quei flussi migratori che hanno raggiunto il nostro Paese ormai da decenni e quella, sì, che sarebbe una misura urgente; oppure, potrebbe essere una misura urgente quella di dare un permesso di soggiorno a chi, provenendo da flussi migratori, ha fatto una procedura di regolarizzazione due anni e mezzo fa, lavora nelle nostre case e si prende cura delle persone e ancora non ha un permesso di soggiorno, anche questo potrebbe essere un motivo per una disposizione urgente; ancor di più, sarebbe una disposizione urgente quella che prevede di salvare le decine di migliaia di persone che muoiono nel Mediterraneo, il nostro mare, il mare che circonda il nostro Paese, che è diventato negli anni il più grande cimitero che noi possiamo vedere: decine di migliaia di uomini, donne e bambini, negli ultimi anni, centinaia di migliaia di persone morte alle porte del nostro Paese, persone partite per cercare una vita migliore, persone che hanno lasciato la propria terra per cercare di andare a vivere in un Paese migliore, come tanti milioni di italiani hanno fatto nel corso degli anni e dei secoli.
Ecco, questa che oggi affrontiamo, purtroppo, è un'altra legge che ha un solo obiettivo; non lo dico io, sono stati ricordati in questi giorni monsignor Gian Carlo Perego, della Fondazione Migrantes della CEI, Filippo Grandi, Alto commissario dell'Onu per i rifugiati, oggi, il Consiglio di Europa e i tanti che in questi anni hanno seguito le vicende dei migranti che ci hanno richiamato con puntualità, con attenzione al fatto che questa legge, in realtà, ha un solo obiettivo, quello di rendere più complicato, quello di imbrigliare, quello quasi di colpevolizzare chi salva la vita in mare.
Purtroppo, ho sentito alcuni colleghi questa mattina fare lunghi discorsi, ma non arrivare mai a questo punto: è molto evidente, è molto evidente a tutti che, se noi costringiamo una nave ad allontanarsi dalla zona in cui opera il soccorso in mare, quella perderà la sua funzione; è inutile girarci intorno, se una nave è posta in un luogo perché è lì che avvengono i naufragi ed è lì che muoiono le persone e noi la allontaniamo di chilometri da quel luogo, la prima conseguenza sarà che moriranno più persone. Poi, basta, con questa contraddizione: da una parte, l'opera delle ONG è accusata di essere un pull factor, cioè un sistema che attrae, dall'altra, si dice: no, ma tanto, se non ci sono, non vale niente è uguale, tanto raccolgono soltanto l'11 per cento della popolazione dispersa in mare. Allora, facciamo pace, o non servono o, se servono, dobbiamo lasciarle lavorare.
Guardate, io non entro nei temi più specifici, ne hanno parlato i colleghi rispetto alla legge, lo hanno chiarito molto bene anche le audizioni in Commissione di questi giorni; ci sono dei punti molto stringenti, come la richiesta al comandante di avviare la procedura di domanda di protezione internazionale, l'impossibilità di azioni diverse di salvataggio nel tragitto per raggiungere il porto più vicino e più sicuro e guardate che questa è una delle cose più assurde, lo ripeto, è una delle cose più assurde: io vedo una persona in difficoltà che sta morendo, la soccorro, mentre la porto in un luogo sicuro ne incontro un'altra e non la posso raccogliere? Guardate che se lo raccontiamo con queste parole alle persone appare come una cosa assurda, una cosa inspiegabile, eppure, è quello che prevede questo decreto ritenuto urgente, poi qualcuno ci spiegherà per quale motivo.
Tuttavia, in questo dibattito io ho sentito anche dire, in modo meno esplicito, qualcosa di molto grave che noi dobbiamo stigmatizzare, cioè che chi compie un salvataggio in mare è quasi un complice dei trafficanti di esseri umani; è qualcosa di enorme questa affermazione, questo pensiero, è qualcosa di gravissimo. Salvare un essere umano, salvare una persona è comparato alla complicità con il traffico di esseri umani. Ma siamo impazziti? Ecco, in realtà, secondo me, questo decreto c'entra molto con qualcos'altro, con la narrazione che in questi anni è stata fatta del fenomeno delle migrazioni, con il fantasma, con la guerra che è stata fatta al fenomeno delle migrazioni e, ancor di più, a chi interpretava il fenomeno delle migrazioni e, quindi, alle persone, ai migranti, descritti sempre di più come barbari invasori, come le persone di cui diffidare, come coloro di cui avere paura e, quindi, in fondo, come qualcuno che se anche non salviamo non è un problema.
Guardate che il tema della disumanizzazione delle persone nella storia è stato sempre un punto importantissimo. Allora, parliamo di numeri, parliamo di migranti, addirittura, abbiamo parlato di “carico residuale”, parlando di esseri umani, di carico residuale. Guardate a che punto siamo arrivati e nel disumanizzare gli altri, noi abbiamo parlato dei migranti come di qualcuno che può anche morire e non dobbiamo troppo preoccuparci di salvarlo.
Ecco, questa è una logica che non vogliamo accettare, è una logica che non possiamo accettare, è una logica che non vogliamo diventi la normalità nel nostro Paese, perché ha eroso lo spirito, i cuori e le anime dei nostri concittadini. Peccato che, poi, accade una cosa, in questi giorni; abbiamo parlato, in Aula, della guerra. Accade una cosa nel 2015: vediamo un bambino riverso sulle coste della Turchia, Alan Kurdi; quel bambino aveva tre anni, era un bambino siriano, era scappato dalla guerra ed è morto sulle coste della Turchia, perché con la sua famiglia sperava di raggiungere l'Europa e di vivere una vita dignitosa, di vivere, innanzitutto, perché in guerra si muore e si scappa anche per vivere. Ecco, quella cosa ha ridestato le nostre attenzioni, ha riaperto i nostri occhi, ci ha fatto soffrire. Tanti, tanti, si sono scandalizzati e non vogliamo accettare l'idea del nostro tempo che si scrolla il telefonino, che si cambia canale davanti a chi muore alle nostre porte. Non la vogliamo accettare, non è giusto, non deve accadere.
Allora, non vogliamo cedere a questa logica. Oggi, ho sentito in quest'Aula addirittura citare dei Papi per giustificare questo decreto. Io sono cristiano, mi viene in mente l'espressione: “scherzate coi fanti e lasciate stare i santi”. No, no, non l'ho nemmeno ancora citato, però, se addirittura andiamo a citare i santi e i Papi per giustificare il mancato salvataggio in mare, facciamoci qualche domanda. Invece, adesso, visto che c'è questa richiesta, lo ricorderò anch'io un Papa, così possiamo interloquire.
Nel 2013, Papa Francesco - che, Presidente, con grande piacere, ho scoperto, dal giorno del nostro insediamento, essere molto citato in quest'Aula, addirittura tutti i colleghi si sono alzati in piedi, ad un certo punto, quando è stato citato - ha deciso subito di andare a Lampedusa e, a Lampedusa, ha fatto un discorso molto bello, mi ha colpito molto, di cui vorrei citare alcune righe, perché, secondo me, c'entrano molto con questo discorso relativo alla mentalità che noi dobbiamo contrastare all'interno della disumanizzazione dei migranti. Papa Francesco diceva: “Dov'è il sangue del tuo fratello che grida fino a me? Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell'atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell'altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci tranquillizziamo, ci sentiamo a posto. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l'illusione del futile, del provvisorio, che porta all'indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell'indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell'indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell'altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro”. Io credo che questo sia uno dei grandi mali del nostro tempo: non vogliamo rassegnarci alla globalizzazione dell'indifferenza, non vogliamo assuefarci al dolore degli altri.
Io sono cresciuto in un'epoca in cui, quando avevo 11 anni, un bambino cadde in un pozzo e tutta l'Italia si fermò, per 3 giorni, a vedere se riuscivamo a salvarlo. Mia nonna pianse per 3 giorni dopo quell'evento e tutti stavamo accanto a quei soccorritori, a sperare che quella persona fosse salvata. Credo che sia la cosa più normale pensare chi salva una persona in fin di vita o in pericolo di vita come ad un eroe. Lo abbiamo pensato durante la pandemia, lo abbiamo detto ai nostri medici, a chi ci ha soccorso: chi salva la vita è un eroe, non è qualcuno di cui diffidare o qualcuno di cui aver paura o stigmatizzare.
Peraltro, in questi anni - e qui lo dico anche al Governo con compiacimento -, in Italia, sono nate, anche sulla spinta di questo rinnovato sentimento di solidarietà, delle best practice a livello europeo: penso ai corridoi umanitari, che sono stati promossi anche privatamente dalla Comunità di Sant'Egidio, dalle Chiese evangeliche, dalla Caritas, che i vari Governi italiani hanno condiviso e che sono diventati un'esperienza di viaggi regolari da Paesi in guerra, da Paesi dove è complicato ed impossibile scappare. E, anzi, credo e spero che l'Italia si faccia portavoce anche a livello europeo di questa pratica, perché sarebbe importante che altri Paesi sposassero questo modello per permettere a chi fugge dalla guerra, a chi fugge dalla fame, a chi fugge dalla possibile morte di raggiungere il nostro Paese e l'Europa in tutta sicurezza.
Presidente, credo che questo tema non debba essere divisivo e, quando è stato divisivo, lo è stato perché è stato strumentalizzato. Credo che sull'idea di dover soccorrere chi è in pericolo di vita, di dover soccorrere chi sta per morire non debba esserci chiaramente alcuna divisione ed è per questo che noi richiamiamo a un grande senso di responsabilità i nostri colleghi, il Governo e tutta l'Aula, perché riteniamo questo provvedimento fortemente sbagliato.